“Abusi sessuali sulla minore causa di sofferenza psicologica, indifferenza verso il proprio corpo e autolesionismo”: le motivazioni sul branco di Melito Porto Salvo

melitoportosalvovista 500di Claudio Cordova - Non è stato facile per il Collegio presieduto da Silvia Capone (Andreina Mazzariello e Federica Brugnara a latere) ricostruire (e sbrogliare) la matassa di ricostruzioni, di contro-ricostruzioni, di perizie, di sms, di screenshot, che hanno costituito il corpus probatorio del processo "Ricatto", che alla fine del 2018 ha visto la condanna di sei degli otto giovani del "branco" che avrebbero abusato per circa due anni della 13enne di Melito Porto Salvo.

Un processo, quello condotto dal pm Francesco Ponzetta, caratterizzato da grande pressione mediatica e basato, soprattutto, sulle dichiarazioni della giovane – Sally, nome di fantasia – oggi maggiorenne, ma 13enne all'inizio dell'incubo durato circa due anni. Il Tribunale sceglie quindi di "procedere ad una valutatone frazionata delle dichiarazioni rese da "Sally" in sede di incidente probatorio, in modo da giungere ad un giudizio di piena attendibilità delle stesse solo con riguardo a quelle parti del racconto che, oltre ad essere spontanee (e dunque non frutto di sollecitazione esterna), dettagliate e logicamente coerenti tra di loro, trovino altresì riscontro in elementi probatori a carattere oggettivo". L'unica via per arrivare il più possibile vicini alla verità: "E ciò senza che l'eventuale giudizio di inattendibilità di una parte del racconto mini la credibilità anche delle restanti parti della deposizione, atteso che la parcellizzazione della valutazione avrà ad oggetto Ì singoli episodi contestati, i quali essendo del tutto autonomi tra di loro, sia da un punto di vista fattuale che logico, oltre che temporalmente distanziati, non impongono necessariamente una valutazione unitaria" scrivono ancora i giudici.

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Nel dettaglio il Tribunale ha inflitto a Davide Schimizzi, 9 anni 6 mesi e 8 giorni di carcere, per Giovanni Iamonte 8 anni 2 mesi e 8 giorni, per Antonio Verduci 7 anni, per Michele Nucera 6 anni e 2 mesi, per Lorenzo Tripodi 6 anni, e per Domenico Mario Pitasi 10 mesi. Erano stati invece assolti Daniele Benedetto e Pasquale Principato.

Protagonisti principali dei fatti, il fidanzatino della giovane, Davide Schimizzi, e Giovanni Iamonte, rampollo dell'omonimo casato di 'ndrangheta di Melito Porto Salvo, essendo figlio del boss Remingo. Schimizzi, sfruttando l'amore della giovane, l'avrebbe usata e concessa ai suoi amici: "Che vi fosse un rapporto di "subordinazione" psicologica di "Sally" rispetto all'imputato, dovuta alla forte infatuazione tipica dell'età quasi adolescenziale di "Sally", e che tale innamoramento si era tradotto in un rapporto sbilanciato in favore dello Schimizzi il quale, più adulto e ben consapevole dei sentimenti della ragazza (come è emerso in sede di contestazione durante il suo esame, in cui ammette che "Sally" era innamorata di lui), ne approfittava per appagare i suoi desideri sessuali anche quando ormai non nutriva più alcun sentimento, lo si desume, oltre che dalle dichiarazioni, in questo caso del tutto spontanee e genuine, della minore - che ammette che in quel periodo era innamorata di Davide e che per compiacergli era disposta ad assecondare le sue richieste".

Entrambi infatti, non si sarebbero fatti alcuno scrupolo nell'abusare per quasi due anni di una giovane adolescente che all'epoca dei fatti aveva solo tredici anni. Schimizzi era il suo fidanzatino, o meglio la minore credeva che tra di loro potesse nascere qualcosa di bello, ma invece Schimizzi le avrebbe aperto la porta degli inferi dandola in pasto agli altri. La giovane stava attraversando un momento molto difficile. I suoi genitori si stavano separando. Pensava di trovare in Schimizzi un punto di riferimento stabile e affettivo, ma poco dopo tempo il giovane diventerà uno dei sui presunti aguzzini che la porterà "a discendere negli inferi", così scrive il gip nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere.

Il "ricatto" (da cui deriva il nome del procedimento) sarebbe consistito nel minacciare la giovane non solo di divulgare notizie e immagini compromettenti, ma anche di fare del male ai propri cari: "Ed allora ciò che è emerso è che la minore, dopo essere stata riavvicinata da Schimizzi dopo un periodo di distacco, veniva subdolamente usata, ancora una volta e nonostante la promessa fatta da Schimizzi di non coinvolgere più i suoi amici, per consumare dei rapporti sessuali".

Diversi i fatti contestati.

Sarebbe stato proprio Schimizzi, dopo avere portato a casa la minore, a chiederle di uscire nuovamente; era sempre lo stesso Schimizzi a prelevare in macchina, prima Iamonte e poi "Sally", e poi, a portarla in un luogo appartato, imponendo il coinvolgimento dell'amico senza averle dato alcun preavviso; era

Schimizzi a ridere mentre l'amico e la ex fidanzata consumavano un rapporto sessuale, dimostrando così

compiacimento e indifferenza rispetto allo stato d'animo della ragazza, spaventata anche per le parole minacciose pronunciate da Iamonte.

Già, Iamonte: "Lo sguardo di Iamonte e le allusioni da lui fatte erano tali da fare sentire la minore come paralizzata, incapace di muoversi e di reagire, terrorizzata non solo al pensiero che i genitori potessero scoprire quanto accaduto con gli altri ragazzi, ma anche che i genitori medesimi potessero essere coinvolti per altro" scrivono i giudici.

Un contesto di degrado, in cui la giovane avrebbe vissuto in maniera malata la propria sessualità adolescenziale: "I due imputati, infatti, nell'ambito delle conversazioni via Whatsapp che intrattenevano con la stessa — spesso a sfondo sessuale — avanzavano richieste di foto pornografiche facendo leva, Davide, sul sentimento che "Sally" continuava a provare per lui, seppure in modo combattuto, stante la

consapevolezza che tale sentimento non era ricambiato; l'altro, Giovanni, sul ruolo che "Sally" le

riconosceva quale mediatore nella sua storia travagliata con Davide (probabilmente in virtù dell'amicizia

che li legava ovvero dell'autorità che Giovanni Iamonte, in quanto appartenente ad una storica famiglia

di ndrangheta, rivestiva nel contesto di quel paese), oltre che sulle svariate esperienza sessuali che i due avevano già condiviso".

Una giovane su cui Schimizzi e Iamonte (ma non solo) si sarebbero tolti ogni voglia: "Sally, dunque, in virtù dei messaggi scritti (seppur determinati da uno stato di debolezza e di annullamento della propria personalità, ormai piegata a soddisfare i piaceri dei ragazzi coinvolti) non poteva assurgere agli occhi dei due imputati quale mero strumento utilizzato per dare sfogo ad un loro atteggiamento aggressivo. Ella si mostrava infatti non solo collaborativa, ma anche propositiva. Anche il timore mostrato inizialmente verso Iamonte si trasformava in un atteggiamento di maggiore complicità, verosimilmente dovuta allo stato di indifferenza verso tutto e tutti, che ormai attanagliava la minore. Lo stato di totale noncuranza della minore nel concedere il proprio corpo ai vari soggetti coinvolti emerge peraltro in altre conversazioni acquisite".

Il Tribunale dimostra di non prendere per "oro colato" le dichiarazioni della giovane, valutandone la credibilità e l'attendibilità di volta in volta. Non a caso, da diversi capi d'imputazione – laddove il racconto di "Sally" sarà generico e/o contraddittorio o laddove non verrà dimostrata la coercizione – gli imputati verranno assolti.

Quel che è certo è che della storia restano solo macerie: "Plurimi testi hanno confermato quanto riferito dalla minore in sede di incidente probatorio, relativamente: - allo stato di disagio e di sofferenza della stessa provocato (anche, se non solo) dalle azioni dei due imputati; - allo stato di indifferenza conseguente; - alla noncuranza totale verso il proprio corpo e, infine, alla inflizione, da parte di "Sally", di atti di autolesionismo. Iamonte e Schimizzi, con le loro condotte hanno accettato il rischio del grave danno psicologico derivato alla minore che ha portato la stessa anche ad infliggersi dei gesti di autolesionismo. È infatti provato che gli abusi sessuali posti in essere dagli imputati lamonte, Schimizzi, Verduci, Nucera e Tripodi hanno causato un forte stato di sofferenza nella ragazza, la quale — a seguito degli eventi — ha accusato un fortissimo calo della propria autostima, una totale indifferenza verso il proprio corpo con conseguenti ripercussioni nella vita di relazione e nella gestione del proprio stato d'animo. Si pensi infatti ai plurimi episodi di autolesionismo posti in essere dalla ragazza, ai suoi improvvisi ed incontrollati scatti di rabbia. A ciò va aggiunto il disagio derivante alla minore dallo sradicamento dal proprio contesto sociale ove aveva sempre vissuto e dove aveva instaurato tutti i rapporti di amicizia a seguito del trasferimento disposto alla luce dei fatti di cui al processo".

Il tutto in un contesto sociale a dir poco inesistente, perché fiaccato dall'omertà e dalla paura nei confronti della 'ndrangheta. Sarà il fratello della giovane a raccontare della "emarginazione posta in essere nei suoi confronti da parte degli abitanti di Melito Porto Salvo. Ha infatti riferito che nel paese si respirava un' "ariapesante" e che si sentiva osservato in modo "non benevolo" dalle persone, avendo il paese solidarizzato con gli imputati e non con la vittima".